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ASA e Diabete Mellito: nello studio ASCEND pochi i pazienti con inibitore della pompa protonica.

FerriIl problema della prescrizione di ASA acido acetilsalicilico a basso dosaggio nel paziente in prevenzione primaria.
Spiega il prof. Claudio Ferri, direttore della Scuola di Medicina Interna all’Università de L’Aquila: “Quando si conducono questi trial ci si comporta in maniera diversa dalla pratica clinica quotidiana dove invece ci si rende conto che il paziente con eventi avversi dell’apparato gastroenterico superiore ha una storia positiva per dolori, per ulcera anche complicata. In questo caso, in accordo con quanto dicono i gastroenterologi italiani e i cardiologi dell’ANMCO si prescriverebbe un inibitore della pompa protonica che ridurrebbe almeno al 40% la probabilità di un danno gastroduodenale a sanguinamento.>br> I dati dello studio ASCEND dicono che i pazienti ASA basso dosaggio raramente erano trattati con inibitori della pompa protonica. Quindi, a mio avviso, nel paziente diabetico a rischio alto o molto alto, la prescrizione di acido acetilsalicilico va presa in considerazione, perché l’epidemiologia è diversa dalla clinica, e noi siamo certamente più cauti con un paziente con ulcera gastrica o duodenale e nove volte su 10 prescriviamo un inibitore riducendo quasi a zero il rischio di sanguinamento”
Prof. Claudio Ferri – Direttore Scuola di Medicina Interna – Università L’Aquila

Patologia valvolare aortica: pubblicati i risultati del Monzino sulla “tecnica Ozaki”.

Polvani«La tecnica Ozaki è una delle maggiori innovazioni in cardiochirurgia degli ultimi dieci anni e al Monzino siamo stati i primi a sperimentarla e svilupparla in Europa – spiega il prof. Gianluca Polvani, Direttore del Dipartimento di Chirurgia cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino. L’esperienza del Monzino, la seconda più ampia a livello internazionale, ha dimostrato una mortalità intraoperatoria pari a zero e l’assenza di eventi avversi maggiori nel 97% dei casi. A 5 anni dall’intervento nessun paziente ha presentato recidive di vizio severo della valvola e nessuno ha dovuto essere rioperato. “I dati oggi – precisa Polvani - ci danno ragione: la ricostruzione con tessuto del paziente ottiene gli stessi risultati dell’impianto di una protesi in termini di efficacia, con vantaggi indiscutibili per i pazienti. Il primo grande vantaggio è che la valvola ricostruita non corre il rischio di rigetto e permette al paziente di evitare di dover assumere la terapia anticoagulante dopo l’intervento. Inoltre, l’utilizzo esclusivo di tessuto con DNA proprio, promette una durata della neovalvola molto superiore a quella delle protesi biologiche tradizionali, basate su tessuto animale. Potremmo definirla una sostituzione valvolare biologica autologa».
Prof. Gianluca Polvani – Direttore Chirurgia cardiovascolare CC Monzino.

ASA: lo studio ASCEND non rappresenta i pazienti (italiani) con rischio cv basso-moderato.

Ferri“Recentemente si è tornati sul problema della prescrizione di ASA acido acetilsalicilico a basso dosaggio nel paziente in prevenzione primaria, a causa di aumento di sanguinamenti non fatali a carico dell’apparato gastroenterico.” – spiega il prof. Claudio Ferri, direttore della Scuola di Medicina Interna all’Università de L’Aquila.
Come è noto, questa definizione è fuorviante in molti casi: il paziente diabetico, ad esempio, è sempre caratterizzato da un rischio cardiovascolare almeno moderato, anche in prevenzione primaria, ricadendo però nel rischio cardiovascolare elevato o molto elevato nella grande maggioranza dei casi, ad esempio per la presenza di proteinuria oppure di ipertrofia ventricolare sinistra. Nello studio “A Study of Cardiovascular Events iN Diabetes” (ASCEND), nel quale 15.480 pazienti diabetici senza malattia cardiovascolare hanno ricevuto aspirina 100 mg al giorno oppure placebo. Il rischio cardiovascolare del tipico paziente ASCEND era decisamente basso in quasi la metà (40%) dei pazienti reclutati e, comunque, nella media globale dei pazienti (questo, peraltro, è chiaramente scritto anche dagli stessi autori del report principale su ASCEND). Quindi, ho osservato che nello studio sono stati reclutati pazienti molto lontani da quelli incontrati comunemente in prevenzione primaria mediamente con rischio cardiovascolare con basso-moderato.
Prof. Claudio Ferri – Direttore Scuola di Medicina Interna – Università L’Aquila

Cardiopatie congenite nei neonati. Diagnosi precoce e prevenzione per esiti migliori anche a lungo termine.

OrfeoLa frequenza delle cardiopatie congenite è estremamente elevata: rappresentano circa il 40% di tutti i difetti congeniti e sono ancora una causa di mortalità importante nel primo mese di vita, subito dopo la prematurità e l’asfissia intrapartum. “A seguito di un primo sospetto in corso di ecografia strutturale, ma soprattutto in caso di dubbi o di familiarità, bisogna indirizzare la donna verso un’ecocardiografia fetale” – suggerisce il dott. Luigi Orfeo, Presidente SIN - Società Italiana di Neonatologia. “Oggigiorno è possibile diagnosticare la quasi totalità dei difetti congeniti a carico del cuore. La diagnosi precoce è fondamentale perché vi sono patologie estremamente serie, per esempio la trasposizione dei grossi vasi a setto intatto, che necessitano di un’azione immediata a poche ore dalla nascita per consentire la sopravvivenza. Per la maggiore si tratta invece di cardiopatie più lievi, che richiedono comunque un intervento tempestivo dal punto di vista farmacologico e successivamente – in un limitato numero di situazioni – chirurgico. Altresì la prevenzione in gravidanza cambia la storia del paziente: valutazione dei fattori di rischio, integrazioni alimentari e stili di vita adeguati a preservare il nascituro da danni gravi e talvolta irreversibili”.
Dott. Luigi Orfeo – Presidente SIN - Società Italiana di Neonatologia

22° Congresso Nazionale ARCA. Terapia medica ottimale nel paziente con Sindrome Coronarica Cronica.

Temporelli cover“Il trial ISCHEMIA ha dato un risultato apparentemente chiaro: la presenza di ischemia anche moderata o severa non è di per sé un criterio per indirizzare il paziente a coronarografia ed eventuale rivascolarizzazione” – dichiara il dott. Pierluigi Temporelli, Divisione di Cardiologia Istituti Clinici Scientifici Maugeri - IRCCS Veruno (No).
“L’indicazione è: mettere in atto la terapia medica ottimale e, se non si ottiene così un successo pieno, considerare un’ipotesi invasiva. La terapia medica ottimale non contempla solo l’intervento farmacologico: come stressato dalle Linee Guida, è necessario modificare i fattori di rischio adottando uno stile di vita corretto. Ciò in associazione a farmaci ‘preventivi’: antiaggreganti, statine e – se necessari – antiipertensivi come ACE-inibitori e sartani. Per poter controllare segni e sintomi di ischemia, i betabloccanti dovrebbero essere mantenuti quasi sempre in prima battuta. Qualora non fossero sufficienti o non potessero essere implementati è possibile utilizzare altre molecole, tra cui Ivabradina, che non impatta sulla pressione arteriosa, e Ranolazina, che non ha effetti negativi né sulla pressione arteriosa né sulla frequenza cardiaca e può essere abbinata a tutte le categorie di farmaci”.
Dott. Pierluigi Temporelli – Divisione di Cardiologia, Istituti Clinici Scientifici Maugeri - IRCCS Veruno (No)