|
|
|
|
Venerdì 31 Marzo 2023 |
Buongiorno dalla redazione di Medlinetv, la TV via internet dedicata ai medici specialisti. Questa settimana aggiornamenti, speciali, interviste, commenti e casi clinici.
|
|
ONCOLOGIA Tumore polmone NSCLC e test NGS - esone 20.
Circa il 75 per cento dei pazienti con NSCLC è già in stadio III o IV al momento della diagnosi. Questo è dovuto ad un ritardo nel riconoscimento dei sintomi, generalmente non specifici, quali tosse, affaticamento, dolore al petto, dispnea, perdita di peso. Anche per questo, una diagnosi di tumore al polmone spesso porta pazienti e caregiver a provare sentimenti di incertezza, ansia e paura. Inoltre, poter riconoscere con prontezza il tipo di mutazione è fondamentale per seguire il paziente con la terapia più adeguata, sin dalle prime fasi della diagnosi e non solamente nelle successive linee di terapia. «La necessità di ricercare e distinguere le diverse varianti è essenziale, in quanto a ciascuna di esse può essere associata una terapia differente, in prima linea, così come nelle linee di trattamento successive. I test genetici, soprattutto la Next-Generation Sequencing (NGS), si rivelano uno strumento cardine non solo per una corretta diagnosi, ma anche per un approccio terapeutico personalizzato, anche per le mutazioni da inserzione dell’esone 20 dell’EGFR», aggiunge Silvia Novello, professore di oncologia medica presso il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale di Oncologia Toracica all’AOU “San Luigi Gonzaga” di Orbassano, Presidente di WALCE - Women Against Lung Cancer in Europe. «Per offrire la terapia più adeguata ed efficace al paziente affetto da tumore al polmone con mutazione di EGFR, è quindi necessario studiare adeguatamente ogni singolo caso e valutare ogni dato. È questa la medicina di precisione, ovvero una medicina fortemente personalizzata e mirata, che parte proprio dalle differenze individuali in termini di genetica, microbioma, stile di vita e ambiente», conclude. Prof.ssa Silvia Novello - oncologia medica - Università di Torino
GINECOLOGIA NIP test per ritardo crescita intrauterino
Il ritardo di crescita intrauterino è da ricercarsi anche in cause genetiche: cromosomiche, subcromosomiche, dovute a patologie monogeniche o a difetti dell’imprinting. “Le cause possono essere indagate attraverso vari metodi, spiega la dr.ssa Francesca Romana Grati, Chief Genomics Officer Menarini Biomarkers – con metodi convenzionali, altre più sofisticate come il microarray, pannelli tramite sequenziamento NGS, dell’esoma clinico o il whole genome sequencing. Esistono inoltre nuove prospettive per le indagini più correlate alle modificazioni epigenetiche, correlate all’ accessibilità del DNA che viene modulata attraverso regolazioni chimiche senza che ne modifichino il DNA stesso. Contributo fondamentale è dato dal test del DNA fetale (in inglese NIP Test, Non Invasive Prenatal Test) che si esegue a partire da un semplice prelievo di sangue della mamma in attesa, allo scopo di individuare precocemente il rischio che il feto sia affetto da anomalie cromosomiche come le trisomie 21 (sindrome di Down) 13 e 18. Si tratta di un test di "screening", che a differenza di un test "diagnostico" come l'amniocentesi o la villocentesi (tecniche di indagine invasive), permette di esprimere una predizione di basso rischio o alto rischio. In questa nuova tecnica sono analizzate le cellule circolanti del trofoblasto, il tessuto cellulare che serve a nutrire l'embrione, circolanti nel sangue materno. In futuro quindi con queste cellule si potrà “screenare” , fare prevenzione sul ritardo di crescita intrauterino e di altre complicanze della gravidanza. Dr.ssa Francesca R. Grati - Chief Genomics Officer Menarini Biomarkers
UROLOGIA
Caso clinico “Pro State of Art 2023”: tumore prostata oligometastatico alla diagnosi.
“In questo paziente, spiega il dr. Luca Trodella, radioterapista presso il Campus Biomedico di Roma – al “Pro State of Art 2023” - si esegue una PET con PSMA che evidenzia una lesione che poteva essere misconosciuta ad una stadiazione classica eseguita con TAC e scintigrafia ossea. Questo risultato porta ad avere un approccio completamente diverso rispetto ad un classico intervento loco-regionale. Si aprono quindi possibilità di trattamenti sistemici, con integrazioni alla sola terapia ormonale, quali gli ARSI (inibitore della via di segnalazione del recettore degli androgeni). Si aprono anche le possibilità di trattamenti loco-regionali sulla lesione primitiva sia sulle metastasi. Il tumore naturalmente andrà inquadrato in maniera corretta in quanto tutte le evidenze che abbiamo sono indicate da diverse stadiazioni (con TAC e scintigrafia ossea), costringendoci a classificare i pazienti in modo diverso rispetto al passato. In assenza di studi randomizzati quello che conta è soprattutto il rapporto con il paziente, le sue aspettative e l’expertise del clinico che deve gestire il caso, e i trattamenti. Abbiamo infatti trattamenti che sono indicati esclusivamente al setting metastatico, a setting antecedenti oligometastatico o localmente avanzato. Andremo quindi ad esaminare i vantaggi per il singolo paziente, anche nei trattamenti di radioterapia in quanto molto più precisi con meno effetti collaterali con endpoint di sopravvivenza, come la “progression free” e la qualità di vita.” Dr. Luca Trodella – Radioterapista Campus Biomedico Roma
|
|
|
|